Autonomia delle regioni, ovvero l’asino casca sempre al sud #milapersiste

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di Mila Mercadante #milapersiste twitter@gaiaitaliacom #milapersiste

 

Marc Ferro, in Le livre noir du colonialisme, fa una distinzione tra colonie di popolamento e colonie di sfruttamento, inoltre parla dettagliatamente del fenomeno dell’autocolonialismo. Il meridione d’Italia è sempre stato una colonia di sfruttamento e da un po’ tra la gente del sud si registrano segnali di autocolonialismo che personalmente mi dispiacciono non poco e che fino a un anno fa apparivano impensabili. Mi riferisco al fatto che la Lega di Salvini sta cercando e ottenendo consensi al sud, soprattutto nella Sicilia che votava compatta per Berlusconi, ma anche in Puglia e in Campania (mettere al centro della scena Al Bano o una squadra di calcio non è da fessi, è un metodo per velocizzare la raccolta di una caterva di voti). A Catania nel 2017 Salvini, Berlusconi e Meloni siglarono il patto dell’arancino ed è stata proprio Catania a favorire per prima la Lega, rapidamente convertitasi dall’anti-meridionalismo spinto all’anti-immigrazionismo e al sovranismo. Tutti insieme appassionatamente contro migranti e UE, dunque.

Quando affermo che la resa dei meridionali a Salvini mi dispiace non faccio un discorso identitario: ho a cuore gli interessi collettivi e una concezione comunitaria della politica. Considerando l’identitarismo una malattia contagiosa e pericolosa, non capisco come al sud ci si possa fidare della Lega, partito identitario per eccellenza. La Lega non ha fatto un congresso, non ha elaborato il cambiamento, sostanzialmente ha allargato le prospettive per ragioni evidentemente opportunistiche senza modificare né i vecchi contenuti né – ahinoi – i vecchi progetti. L’identitarismo nazionale fa aumentare i consensi rispetto a quello regionale, che comunque viene preservato e portato avanti con un altro nome. Combattere l’infiltrazione dall’esterno di soggetti non graditi ai più rappresenta un collante molto più potente per solleticare da nord a sud il bisogno di sicurezza.

Tenere costantemente in primo piano la questione migranti non è solo un modo efficace per rastrellare consenso: copre come una manna salvifica il vero grande problema del paese, che è il divario inconcepibile ma in qualche modo utile tra nord e sud, tra la parte più ricca che domina e tutti quei luoghi in cui si concentrano – dopo anni di deindustrializzazione – povertà, esclusione sociale, disoccupazione. L’attuale governo non ha né le risorse né né le intenzioni né solide radici culturali per affrontare questa situazione. Il reddito di cittadinanza e un po’ di silver economy sono gli unici sforzi che i giallo-verdi hanno dedicato al meridione nel contratto di governo. Del resto Salvini con il suo progetto di autonomia delle regioni ha motivazioni squisitamente economiche e non storiche: chi ama le piccole patrie è un piccolo colonialista che pratica il razzismo interno ed esalta le peggiori istanze della finanza liberista. L’aggravante del progetto salviniano è che mentre il paese perderà il suo carattere unitario, l’autonomia non avrà un carattere federale.

Lo spiega molto bene su Il Mattino Marco Esposito: “Ci saranno tre fasce: la prima comprende le sei autonomie storiche (Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Aosta, Bolzano e Trento). La seconda sarà di sette regioni ad autonomia rafforzata: Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, e presto Piemonte, Liguria, Toscana e Umbria-Marche unificate. La terza fascia sarà una sorta di “bad Italy”, un’Italia residuale in cui le regioni resteranno sulla carta ma si vedranno sfilare i poteri in base al principio meno Stato al nord, più Stato al sud”. Le regioni residuali saranno quelle che vanno dal Lazio (compreso) in giù, con Roma super-capoluogo delle regioni meridionali. Che genere di gestione delle risorse dobbiamo aspettarci? Le modalità di attribuzione avverranno in relazione alla compartecipazione “o riserva di aliquota al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale” e infine niente più spesa storica come fonte per stabilire le attribuzioni delle risorse, d’ora in poi i calcoli si faranno in base al fabbisogno standard, e qui casca l’asino, vale a dire i meridionali.

La formula dei costi e fabbisogni standard è in vigore dal 2013 e spiegare come funziona è piuttosto complicato. Per rendere chiaro il perché essa penalizzi il meridione 99 volte su 100, prendiamo il settore della manutenzione stradale e verifichiamolo su due città, Milano e Napoli. In base al numero di chilometri, la città Metropolitana di Napoli conta 1629 km di strade, la città Metropolitana di Milano ne conta la metà, 800 km. E allora perché per questa benedetta manutenzione Napoli riceve esattamente la metà dei milioni (15 contro 28) che ha ricevuto Milano? Perché ci sono i trabocchetti, detti tecnicamente “correttivi”: uno dei correttivi è che le strade montane ricevono dei bonus perché hanno bisogno di maggior manutenzione. Napoli e Milano non hanno strade montane. Milano come Provincia non ne ha, Napoli come Provincia invece ha tredici comuni che sorgono a oltre 1000 metri di altezza. E allora? E allora i calcoli non si fanno più in base alla Provincia e i bonus a Napoli vengono negati, mentre Rimini, tanto per fare un esempio, non si sa perché né per come li percepisce. Un altro correttivo-trabocchetto – il peggiore – riguarda i bonus erogati a chi ha il maggior numero di occupati. Indovinate chi ha il maggior numero di occupati tra Napoli e Milano? Eh eh eh, Milano alla fine prende 25 milioni di bonus (10 volte il fabbisogno base) per via dell’occupazione e Napoli meno di 10 milioni (meno del fabbisogno base). Evito l’esempio della sanità perché m’arrabbio troppo ed è quasi Natale.

Buone feste a tutti.

 





 

(22 dicembre 2018)

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