di Mila Mercadante #milapersiste twitter@gaiaitaliacom #blog
Costanzo Preve la chiamava ideocrazia imperiale americana. La vera rivoluzione, come ebbe a dire Jean François Revel, piuttosto che da Mosca o dalla Cina è venuta dagli Stati Uniti. Questa rivoluzione è stata portata avanti dall’industria culturale molto più efficacemente e molto prima di quanto non abbia fatto la politica. L’industria culturale a partire dal ’68 ha provocato una vera e propria mutazione antropologica basata sul primato dei diritti individuali. Libertà e uguaglianza è la bandiera sotto la quale si raccolgono soggetti astratti e astorici, divisi tra loro, completamente avulsi dal contesto materiale, resi indifferenti alle sue logiche verticali e assurti a mito: ogni singolo uomo è portatore di diritti universali ed è nel nome di tali diritti che dietro la facciata affabile il capitale globale fa i propri interessi.
Attraverso la suggestione dei diritti civili ognuno – addomesticato e svuotato di consapevolezza con un geniale depistaggio – è diventato protagonista del cambiamento. L’aspirazione all’uguaglianza nel mondo globalizzato si è trasformata in un feticcio e in una stortura, è ormai una patologia. E’ quella stessa patologia che ha generato più muri (non solo in senso materiale) e più paure ed è quella che ha disintegrato lo spirito critico.
Anche l’arte e il talento devono piegarsi al severo dettato della morale unica. Nel nome del politicamente corretto negli Stati Uniti si censura tutto, dalle immagini dei nudi dipinti dai più grandi pittori della Storia alle donnine di Milo Manara, fino a Woody Allen, che non trova più finanziatori per il suo ultimo film. Eppure l’arte è e dovrebbe restare totalmente indifferente ed estranea a qualsiasi questione sociale e morale: la sua funzione è quella di mostrare, trasfigurare, enfatizzare la realtà. Durante il nazismo allo spirito critico si sostituì il grottesco principio di realtà, che tutto livella. Con modalità diverse si persegue il medesimo scopo. A chi non si adatta non si concede libertà di scelta.
Non stupisce il fatto che in tutto il mondo si finanzino progetti per propagare valori stabiliti dai quali è impossibile svincolarsi. Il lavoro certosino è iniziato negli Stati Uniti sin dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale e nel tempo si è esteso a macchia d’olio dovunque. E’ un lavoro che si compie grazie all’azione di Fondazioni e ONG, presenti in tutto il mondo, e a un esercito di intellettuali, economisti e scienziati compiacenti. Le Fondazioni fanno anche cose buone e giuste, e questo serve a far dimenticare a chi ne esalta il valore che esse sono finanziate dalla grande industria, che non pagano le tasse e che quindi se ne infischiano della trasparenza. Possono tutto, spaziano a volontà. Con l’aumento delle privatizzazioni a causa dei tagli al welfare le ONG si sono insediate in ogni dove per supplire alle mancanze (sanità, istruzione eccetera). Sono molto attive anche nel mondo dello spettacolo. Metoo e Times-up sono società finanziate da privati, sono note perché spettacolarizzano, ma non sono sole: insieme a molte altre ONG che si occupano di diritti delle donne hanno completamente spostato il problema dal piano politico ed economico a quello della semplice uguaglianza di genere, dell’identità.
Che altro? Le società per il microcredito hanno distrutto il Terzo mondo: la Grameen Bank del noto premio Nobel per la pace Yunus ha provocato e continua a provocare molti più danni che benefici ai poveri, spesso costretti al suicidio o all’emigrazione perché indebitati fino al collo. Le Fondazioni finanziano sempre corsi e borse di studio per l’arte, le scienze sociali, i diritti umani a beneficio degli studenti occidentali e di quelli del Terzo Mondo. E i famosi Chicago boys? Gli studenti cileni furono formati all’economia neoliberista con una sovvenzione della Fondazione Rockefeller all’Università di Chicago: poco dopo, fatto fuori Allende, in Cile arrivò Pinochet e la meglio gioventù era già pronta e addestrata. Le Fondazioni ebbero un ruolo preponderante negli Stati Uniti quando Martin Luther King univa i puntini che collegavano il razzismo, l’imperialismo, il capitale e la guerra in Vietnam. Eliminato il leader pericoloso, le Fondazioni (Rockefeller, Ford, Monsanto, General Motors eccetera) si occuparono di sedare gli animi e di ricondurre le lotte dei movimenti per i diritti dei neri nel solco della norma e della civile convivenza. Come? Con i finanziamenti, le sovvenzioni milionarie ai movimenti per la creazione di centri culturali di aggregazione.
Il meraviglioso multiculturalismo è profondamente razzista e nazionalista perché ha pervaso e colonizzato il mondo con una sola ideologia culturale ed economica. Donne, bambini, neri, minoranze etniche, migranti, omosessuali, malati di Aids, sono tutti incasellati e separati coi loro problemi e le loro rivendicazioni, che non diventeranno mai lotte di classe perché “(ir)risolti” dalla pedagogizzazione e dall’inclusione operata dai rappresentanti dell’umanesimo ufficiale.
(3 settembre 2018)
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