di Mila Mercadante #Milapersiste twitter@milapersiste #Salvinate
“Per i condannati in via definitiva vorrei fare come in Austria, dove hanno l’obbligo di lavorare per ripagare i costi della loro carcerazione che gravano sulla comunità”. Lo ha dichiarato Matteo Salvini. Non è ancora dato sapere se sia interessato solo all’obbligo di lavoro oppure se intenda emulare il sistema carcerario austriaco in tutti i suoi aspetti, nel qual caso per raggiungere dei risultati gli ci vorrebbero – a essere ottimisti – una dozzina di anni. Il progetto detenuti/lavoro mette in rilievo l’ambiguità irrisolta sul senso e sulla funzione della detenzione. Il lavoro è solo punitivo oppure è anche rieducativo? Malgrado norme e giurisprudenza abbiano affermato negli anni più recenti che il lavoro svolto dai detenuti debba essere inteso come diritto e come mezzo di riscatto e di emancipazione, la concezione punitiva prevale di fatto, e viene messa spesso in relazione con le condizioni economiche esterne. L’opinione pubblica, soprattutto durante un periodo di crisi prolungata, è sicuramente più disponibile ad accettare che un detenuto – uno “scarto sociale” – venga costretto a lavorare per ripagare i cittadini onesti che lo mantengono. Più che per tutelare le tasche dei cittadini si utilizza nella maggioranza degli Stati manodopera a un costo molto basso in maniera tale da incrementare la spirale della concorrenza: i lavoratori onesti e liberi non potrebbero mai competere sul mercato del lavoro con chi viene retribuito molto meno. Quello del lavoro forzato non è un concetto prettamente democratico, è preilluministico, per questo dovrebbe almeno essere svolto nel rispetto di tutte le garanzie costituzionali che sono dovute anche a chi ha commesso dei crimini, cominciando dalla qualità della vita nelle carceri per arrivare alla parità delle indennità tra i cittadini detenuti e quelli liberi.
Come si comporta il governo austriaco? Garantisce al personale carcerario una formazione impeccabile e ai detenuti un’assistenza sanitaria che non ha nulla da invidiare a quella che spetta a tutti i cittadini, investe moltissimo nel settore informatico, istruisce i detenuti, dota tutte le carceri di biblioteche e servizi, favorisce attività ludiche e sportive e si impone come obiettivo principale il reinserimento nella società di ogni detenuto. Non esiste il problema del sovraffollamento e infine l’80% della popolazione carceraria lavora. I detenuti sono obbligati a svolgere tutte le attività necessarie al mantenimento della struttura carceraria, obbligati a svolgere lavori di pubblica utilità all’esterno e anche a lavorare – sempre all’esterno – per ditte private. La remunerazione oraria per i mestieri svolti può essere sospesa se il detenuto non svolge le proprie mansioni in maniera diligente. L’indennità va da un minimo di 5,73 euro per i detenuti senza nessuna qualifica a un massimo di 8,59 euro per coloro che sono in possesso di specializzazioni. Da queste indennità viene sottratto il 75%, che è quanto dovuto per ripagare le spese di mantenimento in carcere. L’indennità viene corrisposta ai detenuti alla fine di ogni mese soltanto per il 50% della somma spettante, mentre l’altra metà viene trattenuta dall’amministrazione penitenziaria fino alla scarcerazione del detenuto, che una volta libero può godere di una sommetta per le prime necessità.
Le regole europee sulla detenzione (European Prison Rules) stabilite nel 2006, affermano chiaramente che non si può non retribuire un detenuto che lavori, nel qual caso si tratterebbe di lavoro forzato, e questo determinerebbe la condanna al risarcimento dei detenuti sfruttati da parte dello Stato. Per altri versi le regole europee risultano ambigue: lasciano sulla questione del lavoro un ampio margine di scelta ai singoli paesi membri, e in riferimento alla retribuzione ricorrono al termine equa. Che cosa significa retribuzione equa? Idealmente e teoricamente si dovrebbero rispettare i sistemi previdenziali di ogni Stato ma in pratica non è così, come dimostrano numerosi casi di ricorso di ex detenuti in vari Stati membri.
In Italia i detenuti attualmente possono lavorare gratuitamente solo su base volontaria. A coloro che svolgono attività lavorative remunerate vengono detratti i due terzi del costo del mantenimento oltre alle spese dei vari procedimenti giudiziari che li riguardano, dunque essi attualmente trattengono solo un terzo del guadagno, o poco meno. Le retribuzioni non rispettano i contratti nazionali collettivi, sono ferme al 1993 e non sono state mai aggiornate. Salvini nella sua dichiarazione lascia intendere che bisognerebbe detrarre anche le quote che ogni cittadino italiano sostiene per il mantenimento dei detenuti, dunque questi ultimi lavorerebbero per pochi spiccioli al mese, giusto per non dire a gratis. Ho capito male?
(13 agosto 2018)
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