di Mila Mercadante #milapersiste twitter@milapersiste #blog
La guerra povera di contenuti e priva di analisi che Roberto Saviano combatte contro Matteo Salvini si svolge dietro al paravento del tema dell’immigrazione, un cavallo di battaglia che rispetto ad altri argomenti incontra l’attenzione immediata delle masse e impone schieramenti manichei: si o no, populista o progressista, umano o inumano, analfabeta funzionale o persona civile. Meno si ragiona, meglio è.
La faccenda sta monopolizzando l’attenzione generale. Il ministro dell’Interno, nonché vicepremier, ha finalmente querelato lo scrittore su carta intestata del Viminale. Uso il termine “finalmente” perché Saviano e il suo entourage non aspettavano altro che questo, avendolo programmato. La querela del potente di turno a danno dell’intellettuale un po’ martire e un po’ divo è un gesto che diventa automaticamente teorema: la libertà di espressione è in pericolo, lo spirito critico viene calpestato, all’armi! A questo punto Saviano chiama a raccolta il “suo” popolo e chiede aiuto per contrastare il male, sostenuto da una marea di personaggi noti. Se da un lato è opinabile che un ministro quereli un cittadino, dall’altro lato è inconcepibile fare riferimento alla critica democratica, che in questo caso è completamente assente, sostituita da insulti gravi e diffamazione.
Salvini è stato corteggiato e vezzeggiato dai media che gli hanno assicurato una visibilità costante per almeno un paio d’anni, eppure una volta diventato ministro viene demonizzato da un milieu culturale e pseudo-culturale che dopo la sconfitta del PD ha completato molto rapidamente una metamorfosi già in atto, allontanandosi dal pensiero liberale e preferendo al pluralismo l’intolleranza e alla critica democratica i toni tipici dell’hater e del bullo da tastiera. Probabilmente le reazioni scomposte e abnormi sono viziate anche dalla consapevolezza di aver perso i fondamenti coesivi di un sistema ben rodato, una sorta di club degli eletti che assicurava continuità, adeguata solidarietà e adeguata tutela ai soci. Saviano, portavoce di un movimento d’opinione che non ha più una valenza storica o politica e che quindi sposta la lotta sul piano psicologico, ogni giorno propone un nuovo insulto e contemporaneamente rammenta a tutti il dramma intimo dello scortato a vita. L’insistenza sulla condizione di uomo blindato è indicativa dell’importanza del marchio POP: essere un Perseguitato di Origine Protetta conferisce lo status di vittima e di eroe al contempo, ed è uno status che consente di vendersi al meglio al grande pubblico.
Ministro e scrittore hanno tratti in comune. Tutti e due parlano sempre alla pancia dei loro sostenitori e si servono esclusivamente di schematizzazioni e semplificazioni. Tutti e due sono narcisisti, quindi tendono alla personalizzazione. Quel che conta è che sono parte integrante del potere, di un sistema totalizzante in grado di costruire una sorta di muro invalicabile che impedisca la percezione e la vista di tutto ciò che sta dall’altra parte e che si potrebbe trasformare in impulso vitale, segnale di liberazione, coscienza di classe. E’ notevole l’accento sadico del rapporto (o del non-rapporto) che i due hanno instaurato. Mirano all’oggettivazione dell’altro, essendo il sadismo appropriazione e annientamento dell’altro. Poiché essi rappresentano due gruppi distinti di cittadini, succede che l’altro da annientare non è più Salvini e neanche Saviano: l’altro siamo noi. Il conflitto sociale viene ancora una volta neutralizzato e assimilato in un contesto di regole formali e informali all’interno del quale l’energia del temibile antagonismo sociale se ne muore a tutto vantaggio della spettacolarizzazione. Abbiamo imparato dagli americani.
(22 luglio 2018)
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