di Mila Mercadante #milapersiste twitter@milapersiste #maternità
“L’altro è la morte segreta delle mie possibilità” Jean Paul Sartre
Il progresso scientifico, nel quadro del sistema liberista, ha creato le condizioni perché nascessero i biolavoratori. Sono figure nuove, poco o per niente riconosciute e tutelate, che vengono retribuite e sfruttate per la sperimentazione di nuovi farmaci, per vendere sperma, ovociti, pezzetti di fegato, pezzetti di intestino, organi (Israele è il leader mondiale in questo settore) e anche bambini. Se l’estrazione di sperma non comporta alcun danno all’uomo, la stessa cosa non si può dire per chi si sottopone a cure sperimentali, all’estrazione di ovociti (avviene in anestesia generale previa stimolazione ormonale per aumentare la produzione), a chi si vende un rene e a chi presta il proprio utero per dare figli a persone che non possono averne. Naturalmente tutte queste pratiche accentuano e mettono in evidenza gli abnormi squilibri economici e sociali che caratterizzano il sistema globale. Coloro che hanno problemi economici o che sono esclusi dal mondo del lavoro si offrono alle richieste della scienza medica perché imparano a considerare il corpo come una risorsa economica. La fertilità è una grossa risorsa. Le agenzie di intermediazione, la pubblicità e anche i media fanno da ponte tra il bisogno del lavoratore, il desiderio del consumatore e la biomedicina.
La gravidanza è l’unica esperienza umana che coinvolga due sole entità, che non include gli altri e che è completamente asimmetrica, squilibrata per natura. Nel caso della maternità, il dualismo tipicamente patriarcale tra cultura e natura è insuperabile: la donna gravida, la donna che partorisce è natura, c’è poco da discutere. La gravidanza non è contemplata in alcun parametro di giudizio proprio del diritto, che regola relazioni e rapporti umani. Ora, il diritto è costretto a misurarsi con tutti i problemi e le disfunzioni che la gestazione per altri genera. Malgrado tale pratica sia vietata in moltissimi paesi oltre che in Europa e in Italia, i casi di coppie che vi ricorrono andando all’estero non sono rari e col tempo aumenteranno.
Risolvere le contraddizioni accontentandosi di far rispettare il “principio del nome della madre”, vale a dire accettando la cosa in sé solo perché un foglio di carta contiene il riconoscimento della discendenza materna, è un salto mortale nel buio, un buio che cancella di fatto la relazione corporea profondissima tra una donna e suo figlio. Il riconoscimento all’anagrafe dei bambini nati grazie alla gestazione per altri non mi pare un atto di cui rallegrarsi, benché ogni bambino sin dal primo vagito abbia sacrosanti diritti, e tra questi il diritto alla registrazione anagrafica. A questo punto mi sento in dovere di sottolineare che la capacità di essere buoni genitori non ha nulla a che vedere con l’orientamento sessuale, ragion per cui l’adozione di bambini da parte di due uomini o di due donne non dovrebbe neanche essere discussa, perché è tutt’altra cosa.
La gestazione per altri viene promossa anche dalle donne – ciò rappresenta il colmo dell’alienazione nella società mercantile – e viene raffigurata come un progresso nell’acquisizione della consapevolezza del proprio valore. Di quale valore si parla? Un valore che ha a che fare con la persona in sé o con la produzione di un bene (supremo) destinato ad altri? La donna, stando alle teorie che sostengono questo abominio, sceglierebbe di svolgere un compito socialmente utile senza costrizioni, affermando il diritto di proprietà del suo corpo, muovendosi con disinvoltura nel solco della cultura giuridica ed etica dell’occidente. Come si fa a distinguere l’arruolamento volontario di queste lavoratrici da quello indotto se uno dei motivi principali che le spinge a prestare l’utero a terzi è la condizione sociale, il bisogno di denaro? Come si fa a considerare del tutto volontario il consenso a separarsi dal neonato quando le madri surrogate devono firmare un contratto che escluda qualunque ripensamento dopo il parto? Quel contratto è indispensabile perché i casi di madri surrogate che non vogliono più cedere il figlio a chi lo ha commissionato aumentano, ma non se ne parla mai.
Le voci di dissenso nel mare del consenso sono piuttosto timide e scarsamente incisive nel nostro paese: l’egemonia liberista ha abituato l’opinione pubblica a considerare la disapprovazione della gpa come risultanza di un pensiero di destra, oscurantista, bigotto, conservatore, talvolta omofobo. Come se la faccenda non riguardasse la condizione umana, la politica, l’economia, la Storia. Ecco che ancora una volta la libertà delle idee rimane schiacciata sotto il peso del diritto all’autodeterminazione, diritto inteso come mera appendice delle necessità che il mercato stesso ha creato.
Se – adducendo il falso pretesto della libera scelta delle madri surrogate – non si vuole tenere in alcun conto la violenza che viene fatta alle donne, è obbligo morale riflettere sulla violenza che viene fatta ai bambini. Il tempo ci renderà la misura di questa violenza, perché per quanti sforzi possano compiere i genitori/consumatori (unitamente ad altre figure importanti) occorre prevedere delle variabili impazzite o incontrollabili, meccanismi della coscienza, che li si chiami un po’ come si vuole: fenomeni chimici, psichici, relazionali? Bene: non sono assimilabili a quelli finora conosciuti.
Dalla Dichiarazione dei diritti del fanciullo (Ginevra 1924) fino alla Convenzione Internazionale di Stoccolma del 1989, vi sono stati eccezionali progressi riguardo alla tutela dei minori: il divieto al commercio di bambini in ogni sua declinazione è stato sancito e deve essere garantito. Retribuire una donna perché si separi dal figlio concepito con gameti forniti dall’acquirente è una delle peggiori forme di commercio che il mercato globale potesse concepire. Forse non è troppo lontano il giorno in cui tecniche artificiali di riproduzione sostituiranno definitivamente l’utero, e allora di madri surrogate non parlerà più nessuno.
(14 maggio 2018)
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